‘cham, la danza rituale del capodanno tibetano

08 Feb ‘cham, la danza rituale del capodanno tibetano

Losar, il capodanno tibetano

I tibetani festeggiano Losar, l’avvento del nuovo anno, in due modi. Da un lato vi è una tradizione religiosa, che dura un solo giorno, dall’altro una tradizione popolare, che dura 15 giorni. La prima prevede un vero e proprio rituale monastico, il cui scopo è dissipare tutte le tracce negative dell’anno appena passato. Questo rituale si sviluppa come segue.
️Il primo giorno di Losar i monaci svolgono in privato una lunga preghiera e un rituale tantrico. Attraverso una danza rituale, chiamata “cham” (‘cham) e che dura tutto il giorno, invocano le divinità tantriche affinché assicurino la propria protezione. Poi, si dirigono fuori dal monastero in una processione durante la quale trasportano una gigantesca scultura, chiamata “goutor” (dgu gtor), in cui sono annidati tutti gli spiriti maligni e le tendenze negative. Infine, danno alle fiamme la scultura, per stornare tutte le presenze sfavorevoli del passato.

 

La danza ‘cham

La danza ‘cham è molto intensa e suggestiva. Solo i monaci iniziati, che hanno studiato, visualizzato e praticato acham lungo le particolari sequenze di questa danza, possono interpretarla. E’ una danza in maschera, i cui danzatori generano e si identificano con divinità tantriche al fine di domare e disciplinare gli aspetti distruttivi della realtà, ovvero scacciare gli spiriti malvagi, di liberare se stessi e i partecipanti dagli oscuramenti mentali, garantire il benessere della comunità, salute e lunga vita, al fine di iniziare al meglio il nuovo anno.
Il tutto avviene attraverso un complesso insieme di riti differenti: riti di purificazione, invocazioni e offerte a varie divinità, specifici passi di danza, mudrā, musiche dal ritmo incalzante, atti di soggiogamento ed espulsione di forze negative.

La storia della danza ‘cham per la tradizione tibetana

Secondo alcune leggende, la danza ‘cham giunse in Tibet nell’VIII secolo, quando il re Songtsen Gampo chiamò dall’India Guru Rinpoche (Padmasambhava) per soggiogare gli spiriti maligni che stavano impedendo la costruzione del monastero di Samye, distruggendo ogni notte quanto era stato cosCham3truito di giorno. Così, Guru Rinpoche si presentò lì proprio di notte, tracciò delle linee speciali (thig) in tutte le direzioni dello spazio per intrappolare i demoni avversi e, dopo un breve rituale, praticò a lungo una danza rituale (gar ‘cham), ebbe la meglio sugli spiriti maligni e riuscì a purificare lo spazio. Tuttavia, per saperne di più bisogna aspettare ben sette secoli, quando il quinto Dalai Lama scrisse un importante manuale di danza, il ‘cham yig, un testo importantissimo perché fu il primo a illustrare dettagliatamente la danza rituale (gar ‘cham) di Guru Rinpoche, esaltandola a tal punto da definirla “l’origine del tantra”. A ogni modo, il quinto Dalai Lama distinse questa danza, da lui chiamata appunto tantrica, in due tipi: gar, in cui prevalentemente si muovono mani e braccia, e ‘cham, in cui si muovono per lo più piedi e gambe.
Nga dbang Chos ‘byor, un maestro di danza gelupa, spiegò poi che gar viene eseguita come una danza rituale molto lenta e calma, non in maschera e non pubblica, giacché può essere danzata solo da e in presenza di monaci iniziati. Aggiunge poi che è semplicemente preparatoria alla danza ‘cham, molto più intensa e “rabbiosa”, aperta al pubblico.

 

La cerimonia è un vero e proprio mandala tridimensionale

Gar e ‘cham ancora oggi sono due momenti della stessa cerimonia. La cerimonia si svolge in uno spazio aperto, spesso un cortile, che deve essere protetto da un padiglione o da una tenda. Ha solitamente una forma quadrata che, incontrandosi con i movimenti circolari dei danzatori, darà luogo a un mandala tridimensionale. Il mandala è un cosmogramma, cioè un disegno o una rappresentazione (gramma) del micro- e del macro- cosmo.
Al centro del cortile vengono installati due pali, uniti e adornati da file di bandierine colorate, su una base rettangolare in pietra o argilla, che spesso serve come altare per le offerte alle divinità feroci del ‘cham, affinché eliminano le forze ostili. Il centro è anche il posto in cui si svolgono le principali attività rituali, è infatti il punto in cui sono collocati il sacerdote officiante e il primo ballerino, che di fatto incarna la divinità ‘cham più importante. Il centro è il focus di tutta la performance, che si promana verso l’esterno grazie ai numerosi danzatori che volteggiano in senso orario o anti-orario.
Non mancano i musicisti, seduti a terra usualmente dal lato opposto della porta principale che conduce al monastero o al tempio, perché è proprio attraverso quella porta che passeranno le divinità per incarnarsi poi nei ballerini.
Spesso sul terreno vengono segnati col gesso dei cerchi concentrici, come a dividere lo spazio esterno da quello interno, ovvero il centro, abitato dalla divinità, cuore di questo mandala bidimensionale e tridimensionale che è lo spazio rituale.
In realtà vi sono diversi mandala che coinvolgono diversi livelli di questa cerimonia. Il primo è quello che viene tracciato a terra, in segreto, dopo aver eseguito sa gar, la danza della terra, che ha lo scopo di definire i confini dello spazio rituale creando un cerchio interno e uno esterno, un cerchio superiore e uno inferiore. Sa gar viene eseguita con cinque passi di danza e viene trasformata in mandala grazie all’officiante che, dopo aver invocato e reso omaggio a dieci divinità terrifiche affinché proteggano lo spazio da spiriti maligni, simbolicamente proietta gli emblemi delle cinque famiglie del Buddha (buddha, vajra, gemma, loto, karma) prima sotto le piante dei suoi piedi e poi in cinque direzioni perché attraversino tutto lo spazio sacro, che, finalmente è totalmente purificato. Poi, sempre in segreto, viene realizzato un mandala macrocosmico, vengono cioè invocate e benedette le tre sfere di esistenza dando loro una forma simbolica sul terreno: la prima sfera viene raffigurata con una ruota celeste con otto punte, la seconda con gli otto simboli di buon auspicio tipici del buddhismo, la terza con un loto a otto petali. Un ulteriore mandala si presenta a livello microcosmico nel corpo, nella parola e nella mente dei danzatori e dei musicisti, una volta che fanno ingresso nello spazio sacro. L’ultimo mandala è quello fondamentale: il suolo che viene battuto dai passi di danza, dove il mandala si trasforma in azione azione e performance.

 

La danza ‘cham crea e trasforma

Quindi il mandala non è un semplice disegno, una semplice rappresentazione o riproposizione simbolica dicham2 qualcos’altro, qui è uno strumento molto speciale. E’ un mezzo per assumere il controllo di un luogo e trasformarlo in uno spazio sacro, sollecitando il potere che lo abita eliminando li aspetti che lo inquinano o che sono potenzialmente distruttivi. Questo potere, poi, attraverso la danza viene trasferito dallo spazio rituale ai danzatori, i quali a loro volta lo trasmettono ai partecipanti.

Ebbene, così come la danza ‘cham opera in uno spazio di creazione e trasformazione, ci auguriamo che Losar sia per tutti un passaggio, un’opportunità per trasformare le difficoltà in possibilità, per fare pulizia, lasciar andare i semi distruttivi e creare nuovi spazi, come in una danza.

 


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Bibliografia

Dipankar Khanna & J. Shashi Kiran Reddy, Vajranŕtyam: a Phenomenological Look at the Cham or Lama Dance as a Meditative Experience

Ellen Pearlman, Tibetan Sacred Dance, a journey into the religious and folk traditions

Michael A. Rappenglück, The whole world put between to shells: The cosmic symbolism of tortoises and turtles

Mona Schrempf, Taming the Earth, Controlling the Cosmos